Quando si sperimentano determinate problematiche fisiche, rivolgersi al proprio medico è visto come un passaggio quasi scontato (per quanto, anche in questi casi vi possano essere dubbi e inibizioni). Ma quando si parla di problematiche psicologiche, comportamentali o relazionali, sembrerebbero entrare in gioco altri fattori che non rendono immediata la decisione di prendere contatto con uno psicologo. Alcuni di questi fattori sono molto pratici: la necessità di cercarne uno che sia adatto a noi (mentre, per quanto riguarda il medico, ognuno ne ha uno di base a cui rivolgersi) e la preoccupazione che i colloqui possano costare troppo o protrarsi troppo a lungo nel tempo.
Altri motivi hanno invece una valenza più culturale, e riguardano l'immagine che abbiamo dello psicologo e delle problematiche psicologiche. Si può credere, ad esempio, che queste ultime si risolvano da sole col tempo, che desiderare un sostegno sia sinonimo di debolezza o di malattia, che le terapie farmacologiche siano più efficaci e meno onerose.
Da anni ormai si sta assistendo ad un cambiamento culturale in questo senso, come dimostra anche la crescente presenza di psicologi in diversi contesti (scuole, aziende, associazioni sportive, ecc.) e le diverse proposte di istituzione dello psicologo di base. Decidere di andare dallo psicologo resta comunque una scelta delicata per molti, e per questo motivo è importante far chiarezza su quali fattori possano aver un peso in questa decisione.
Quali fattori valutare per decidere se sia il caso di contattare uno psicologo?
1. Non basarsi (solo) sulla presunta “gravità oggettiva” della situazione, ma su quanto essa è pressante per noi.
Chiedersi spesso se sia il caso di contattare uno psicologo e il sentire la necessità di ricevere un parere o sostegno, possono già essere motivi più che validi per fissare un primo appuntamento che possa servire anche da “semplice” consulto sulla situazione.
Spesso le persone ritengono di doversi rivolgere ad uno specialista quando la situazione raggiunge un certo livello di gravità. Ma la verità è che lo psicologo non si occupa solo di problematiche “gravi”. Anzi, potremmo dire che queste sono solo una piccola percentuale delle situazioni che si presentano a chi fa studio privato. La maggior parte delle volte, chi si rivolge allo psicologo lo fa per vissuti (anche lievi) di ansia, di senso di inadeguatezza, di stress, o anche per aspetti che non si esprimono con sintomi fisici/psicologici, ma che possono riguardare situazioni in famiglia, a scuola, sul lavoro. Queste problematiche possono quindi non esser “gravi” di per sé, ma risultare pressanti per la persona che le vive. E chiedere un sostegno precoce allo psicologo può essere utile anche a prevenire che la situazione degeneri.
2. Valutare se ci si rivolgerebbe allo psicologo solo per “accontentare” gli altri, o se si è pronti ad iniziare un percorso basato sull'alleanza.
Un'altra circostanza (molto) comune si presenta quando la persona non sente la necessità di rivolgersi a qualcuno, ma gli altri intorno a lei spingono invece perché ciò accada.
L'esempio tipico è quello delle dipendenze (con il dialogo stereotipato “<devi farti aiutare!> <non è vero, posso smettere quando voglio!>”), ma è solo una (e nemmeno la più comune) delle tantissime situazioni di questo tipo che si presentano. Più comunemente, famigliari o amici spingono perché ci si rivolga allo psicologo per motivi come “sei troppo irritabile, intrattabile!”, “sei sempre distratto”, “devi elaborare ciò che ti è successo”, “dici sempre bugie”, “ti comporti in modo strano”, e così via.
E' innegabile che il parere delle persone per noi significative debba essere tenuto in grande conto, in quanto queste possono avere una maggior lucidità di analisi, uno sguardo più oggettivo e una diversa attenzione.
Ma allo stesso tempo è fondamentale tenere a mente che il lavoro psicologico non è mai lavoro sulla persona, ma lavoro con la persona. Anche nel caso di bambini e minorenni (che solitamente vengono portati dallo psicologo dai genitori), l'alleanza psicologo-cliente è imprescindibile.
Questa alleanza prevede che il lavoro terapeutico sia quindi basato sul rispetto dell'altro, sulla condivisione degli obiettivi che si vogliono raggiungere, e sulla collaborazione fondamentale per raggiungere questi obiettivi.
Decidere di rivolgersi allo psicologo solo per “far contenti gli altri” può quindi non garantire quella base di fiducia e impegno su cui fondare l'alleanza.
Dall'altro lato, invece, ritenere che un nostro caro abbia bisogno dello psicologo, potrebbe rappresentare un buon motivo per rivolgersi noi stessi ad un professionista che possa aiutarci a far chiarezza sulla situazione e magari proporci un lavoro di coppia o famigliare che possa rivelarsi ancora più utile ed efficace.
3. Non guardare solo ai problemi e a ciò che si vuol risolvere, ma anche a ciò che si vuol migliorare e al proprio bisogno di crescita personale.
Rivolgersi allo psicologo non ha solo funzione di cura, nel senso di risoluzione di problematiche, ma è anche uno strumento per imparare a conoscersi meglio, per capire il proprio funzionamento psichico, per migliorare la propria autostima, per riflettere sui comportamenti e sul proprio modo di relazionarsi agli altri. E' ritagliarsi un proprio spazio personale, entro cui esprimersi ed esplorarsi.
La scelta di andare dallo psicologo può quindi esser dettata dal bisogno di crescita personale, che si può esprimere con la voglia di accettarsi, di migliorare le relazioni, di sentirsi ed essere più efficaci.
Andare dallo psicologo non è riconoscersi malati, ma l'esatto opposto. Significa esser consapevoli di possedere quelle risorse interne che ci permettono di affrontare le sfide della vita e di uscirne accresciuti, e di voler il sostegno di chi può aiutarci a dar voce a questo nostro enorme potenziale.