Ricordo un'intervista a Yalom (famoso scrittore e psicoterapeuta di cui ho già raccontato qualcosa e che stimo tantissimo) in cui gli veniva chiesto se ci fosse, nel cinema o nella cultura popolare, uno psicologo che apprezzasse particolarmente. Lui, senza esitazione, rispose Sean Maguire, lo psicologo interpretato da Robin Williams in Will Hunting - Genio ribelle.
Non avevo mai visto quel film, anche se era stato da sempre nel mio radar. Ne approfittai per guardarlo.
Lasciando perdere il giudizio sul film (non mi ha fatto impazzire...), mi son trovato davanti uno psicologo che si incazza, che mette le mani al collo a Matt Damon, che lo manda fuori dallo studio, che lo chiama "bulletto che si caga sotto per la paura". Mi son chiesto cosa ci fosse di tanto eccezionale, di così encomiabile nel comportamento di questo psicologo da renderlo un modello pure per Yalom. Mi sembrava più che altro di vedere un uomo triste, al limite del burnout, impulsivo e che mette in atto comportamenti che se non sono deontologicamente abominevoli, poco ci manca.
Ieri mi è tornata in mente Miss Misery, splendida e tristissima canzone di Elliott Smith che impreziosisce la colonna sonora del film e che ogni tot mi ritrovo ad ascoltare in una specie di rito masochistico (ma anche con grande piacere, perché è davvero un bel pezzo). Dopo averla ascoltata, Youtube mi propone video del film, tra cui un famoso dialogo tra Williams e Damon, il dialogo in cui lo psicologo dà del cagasotto al cliente. Sotto quel video leggo di tante, tantissime persone che rimpiangono di non aver avuto una persona così nella loro vita.
Ci penso, e credo di aver capito cosa intendesse Yalom e tutte queste persone. Non sono i toni bruschi, pure maneschi, non sono gli insulti, non è il suo modo di comportarsi a renderlo un ottimo psicologo. È la sua palpabile, continua, totale autenticità. Lui è sé stesso in ogni minuto di ogni sessione, non si nasconde dietro a un ruolo, a un camice. L'incontro tra lui e Will/Damon è l'incontro tra due persone, ognuna con i suoi vissuti, le sue esperienze, i suoi dolori. Ed è questo incontro vero a rivelarsi così importante per Will: come se per la prima volta avesse potuto confrontarsi con un volto e non con una maschera.
L'autenticità non è mai scontata: richiede impegno, lavoro, il coraggio di mettersi in gioco. Ma è ciò che restituisce verità alla relazione, anche quella terapeutica.
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