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Elogio del conflitto

Viviamo dando per scontato che il conflitto sia qualcosa da risolvere, una deviazione dall’ordine che va eliminata così da ristabilire lo status quo.

Questa visione della conflittualità come minaccia intollerabile che disturba le nostre vite va quindi di pari passo con l’idea che ci sia una norma, un “modo giusto” di vivere che non deve conoscere conflitto, opposizione, contraddizione. Costantemente alla ricerca di questa perfetta normalità, le nostre certezze crollano quando la vita ci mette di fronte alla nostra vera natura.

Nelle notti in cui il sonno è un miraggio e i pensieri affollano la testa, o dopo liti feroci o dopo sbagli che credevamo incapaci di commettere, ci sveliamo a noi stessi per ciò che siamo: esseri “complessi, opachi, molteplici e contraddittori, mossi da pulsioni talvolta contrastanti”.



Se il conflitto non è accettabile, se la conflittualità è errore e macchia, questo svelamento non rappresenta altro che la triste certezza di essere difettosi.

“Le passioni che ci agitano, i comportamenti non normalizzati e le abitudini che non ambiscono con sufficiente lena a realizzare il bene, la salute, la ragione” diventano la conferma della nostra inadeguatezza.

Colpevoli della nostra stessa natura, viviamo in una condizione di permanente sofferenza perché sentiamo l’irriducibile distanza che ci separa da quella norma che non esiste.



Se il conflitto viene accettato, se si riconosce la sua inestinguibilità, la sua potenza creatrice, la sua essenza, possiamo riaffermare “quel principio oggettivo secondo cui la società è fatta di tutti noi, è il luogo in cui si esprime l’intera molteplicità che vive al fondo dell’uomo” ed emanciparci da quel “dover essere” che è negazione della nostra complessa, contraddittoria, imperfetta, vera, natura umana.


(Le citazioni tra virgolette sono tratte da “Elogio del conflitto” di Miguel Benasayag e Angélique Del Rey, la foto è di Alberto Placido)




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