"Alla morte non lasciate altro che un castello bruciato" (Zorba il Greco)
La fama di Irvin Yalom, stimato e apprezzato psicoterapeuta di 88 anni, va ben al di là dei suoi meriti nel campo del lavoro clinico. Yalom si è infatti guadagnato un posto tra i grandi scrittori con diversi romanzi, come "Le lacrime di Nietzsche", "Sul lettino di Freud", "La cura Schopenhauer" e "Il problema Spinoza".
Questi romanzi nascono dall'intrecciarsi di realtà e finzione, e dal connubio, sempre stretto, tra psicologia e filosofia.
Le opere sopracitate, lette e apprezzate anche dai " non addetti ai lavori" della psicologia, rappresentano solo una parte della bibliografia di questo eclettico genio contemporaneo. Uscendo fuori dalla sezione "Narrativa" e cercando più a fondo negli scaffali delle librerie, si possono trovare opere che rappresentano, per gli psicologi e per gli studenti di psicologia, delle tappe quasi obbligate nel loro percorso formativo. Piccoli gioielli che, con un linguaggio semplice, lineare, spesso ironico, ci permettono di respirare la grande cultura di Yalom e di imparare dal suo metodo di lavoro clinico.
Tra questi, uno dei capisaldi è "Psicoterapia esistenziale", una sorta di manuale e dichiarazione d'intenti rispetto all'approccio che Yalom porta nel lavoro psicologico. In quest'opera vengono citati quattro aspetti con cui, secondo l'autore, ogni individuo trova a confrontarsi durante la propria vita: l'assenza di senso e di significato, la solitudine, la libertà di poter fare della vita ciò che si vuole, e la morte.
Ed è proprio la morte ad essere protagonista dell'opera che dà il titolo a questo breve articolo: "Fissando il sole". Il titolo deriva da una citazione di La Rochefoucauld che recita "Ci sono due cose che non possiamo fissare direttamente: il sole e la morte"; Yalom qui prova a contraddire questa massima sostenendo che la morte, a differenza del sole, non solo può essere "fissata", osservata, ma che addirittura è consigliabile farlo. "Fissando" la morte, e quindi confrontandoci direttamente con essa e smettendo di fingere che non esista, impariamo a confrontarci anche con l'angoscia e il terrore che da essa derivano, nella consapevolezza che "l'angoscia della morte (l'angoscia del nulla) cerca sempre di diventare l'angoscia di qualcosa" (R. May) se non viene prima direttamente affrontata. In altri termini, per usare le parole di Yalom, l'angoscia riguardo al nulla s'attacca rapidamente ad un oggetto tangibile, ad un problema di tutti i giorni, ad una questione superficiale. E così un'ansia che pare molto "reale", ancorata a questioni pratiche, può in realtà essere accentuata, se non del tutto creata, dall'angoscia della morte.
Un'altra faccia della paura della morte, comune a molti, è l'ossessione della caducità, quel pensiero che corrode ogni momento piacevole sottolineandone la sua evanescenza, la sua inevitabile fine. O ancora, l'angoscia della morte si esprime anche come paura dell'invecchiamento, del tempo che scorre inesorabile.
A queste angosce e a questi terrori Yalom ribatte con una consapevolezza maturata in anni e anni di lavoro clinico con malati terminali: "anche se la fisicità della morte ci distrugge, l'idea della morte ci salva". L'incontro con la morte può avere un effetto curativo, può rappresentare quella che Yalom definisce "esperienza di risveglio" in grado di spingerci fuori dalla quotidianità, dalle paure per questioni superficiali e guidarci verso un profondo cambiamento personale.
Con "esperienza di risveglio" non si intende solo il confronto diretto con la malattia e/o la morte (propria o di chi si ama). Anche la rottura di una relazione intima, un anniversario importante, la crescita di un figlio, un cambiamento nella carriera possono rappresentare esperienze di risveglio che ci mettono di fronte all'idea della morte, alla sua ineluttabilità, e che ci spingono a fare della nostra vita ciò che vogliamo, così da evitare rimpianti e "non lasciare alla morte altro che un castello bruciato" (Zorba il Greco).
Concludo l'articolo con una riflessione che Yalom ha ereditato dal concetto di eterno ritorno di Nietzsche, un piccolo esperimento mentale. Provate, come consiglia l'autore, a leggerlo ad alta voce:
"Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse <Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte; e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!>. Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: <Tu sei un dio e mai ho ascoltato cosa più divina!>. Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe."
Domandarsi come si reagirebbe al destino di dover rivivere, ora e per sempre, la stessa identica vita è un modo esasperato ma potente di riflettere su come si sta vivendo, sui rimpianti che si stanno accumulando, e di prendere consapevolezza del fatto che solo noi abbiamo la possibilità di vivere la vita che vogliamo vivere, la responsabilità di diventare ciò che siamo.
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