Questo isolamento forzato mi sta permettendo di portare a termine un po’ di cose che avevo lasciato in sospeso. Tra queste c’è il libro di un autore che ho citato tante volte in questa pagina: “Funzionare o esistere?” di Miguel Benasayag.
Un libro breve ma molto intenso, e che in qualche modo ci parla anche della situazione che stiamo vivendo.
Tutti, in maniere e gradi diversi, stiamo vivendo giornate che sembrano sospese. “Sospese” in un duplice significato: il sinonimo di interrotte, come interrotte sono diverse nostre abitudini e attività quotidiane, e sospese nel senso di sollevate, appese, come se si trovassero su un altro livello rispetto alla “vita vera”. Vita vera che è solo messa in pausa, pronta a ripartire quando questa anomalia, così come è arrivata, scomparirà.
Questa dicotomia tra la vita vera e la vita sospesa è perfettamente simmetrica alla dicotomia tra il funzionare e l’esistere di cui parla il libro. Nella vita vera noi funzioniamo: andiamo a lavorare, produciamo, pianifichiamo le nostre giornate, viviamo il presente come se non fosse altro che la sala d’attesa del futuro.
Nella vita sospesa ci viene chiesto, improvvisamente, senza che ci fossimo preparati, di esistere. Scopriamo che al futuro non potremo mai essere davvero pronti, perché la vita non è equilibrio, non è stabilità, non è certezza. Da questa consapevolezza arriva quell’angoscia esistenziale che ci fa sentire vivi (e viene da chiedersi se gli assalti ai negozi a cui abbiamo assistito non siano proprio una difesa da questo tipo di angoscia). Ci accorgiamo che questo tempo sospeso non è diverso dal tempo-capitale a cui siamo abituati, e che noi esistiamo a prescindere dal lavorare, dal produrre, dal consumare.
Infine ci rendiamo conto che non c’è alcuna vita vera, alcuna vita sospesa, ma solo l’esistenza, l’essere presenti allo scorrere del tempo.
Forse questo virus, una volta andato via, ci lascerà questa nuova consapevolezza.
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